Gregory Sciaroni, classe
1989, due sorelle (Eleonora e Isabella), 84 kg di peso e 181 cm di
altezza, maturità commerciale a Bellinzona, è titolare dell’Ambrì
Piotta. Ha iniziato a fare hockey all’età di otto anni nei GdT per poi
passare, tredicenne, ai moskito dell’HCAP.
Ci sono perplessità e apprensioni per i play-out...
«Nella stagione in corso tuttoè andato storto: infortuni, incostanza,
sfortuna, di cui ne risentiamo attualmente». L’Ambrì non segna e non sa
più sfruttare il powerplay... «Ci manca l’organizzazione del gioco
quando siamo in superiorità numerica, non sappiamo far girare il disco,
ci lasciamo prendere dal nervosismo, non abbiamo né velocità, né
furberia, né malizia».
Ma il Rapperswil è più forte dell’Ambrì? «No, per
niente. Abbiamo più o meno la stessa forza. Ora sono soltanto gli
episodi di gioco e gli errori individuali a fare la differenza. A
prescindere dai risultati ottenuti finora siamo convinti che riusciremo
ad uscire dal tunnel e mantenere il nostro posto al sole anche
nell’immediato futuro»
Dunque ce la farete...«Non ne dubitiamo. Giocatori,
allenatore, dirigenti ne sono convinti. Ci mancherebbe non fosse così.
Dopo Natale abbiamo ritrovato la strada maestra poi è subentrata la
stanchezza fisica e mentale. Ci riprenderemo, abbiamo fiducia».
Rotislav Cada...«È molto bravo. Con lui ho
acquisito più fiducia nei miei mezzi, più spazio e maggior
responsabilità. Sa trasmettere emozioni, definire le basi del gioco,
infondere grinta, determinazione e motivare il gruppo. Lo spogliatoio è
con lui, è importante!».
Lugano, Ginevra Servette e Friborgo-Gottéron le hanno fatto la corte. Perché Davos?
«Si sapeva che ero a fine contratto e diverse squadre hanno contattato
il mio manager Daniel Giger, che ho conosciuto ai mondiali U18 in
Finlandia. Assieme abbiamo scelto Davos». Per i soldi o per ambizione?
«Per fare un’esperienza di vita, per la mia carriera e per imparare
bene un’altra lingua. Non certo per motivi finanziari, importanti a
vent’anni ma non determinanti » . Gli obiettivi? « Avantutto la
salvezza dell’Ambrì. Far bene a Davos. Crescere come uomo. Seguire
studi superiori di economia o di marketing».
Hobby... «Fare sport, ascoltare buona musica e lettura di gialli»
La Nazionale è il sogno sportivo nascosto nel cassetto? «Troppo presto per pensarci».
L’idolo hockeystico? «Sin da ragazzino Olek Petrov e oltre oceano Alexander Orechkin dei Washington Capitals» .
Il calcio? «Fino a 12 anni ho praticato calcio (nel Monte Carasso) e hockey»
La squadra? «L’Inter con un debole per i giocatori brasiliani».
La nuova Valascia? «Sul nuovo ghiaccio voglio
giocarci. Per intanto con la maglia del Davos in trasferta ma un giorno
ancora con quella biancoblù...».
1989, due sorelle (Eleonora e Isabella), 84 kg di peso e 181 cm di
altezza, maturità commerciale a Bellinzona, è titolare dell’Ambrì
Piotta. Ha iniziato a fare hockey all’età di otto anni nei GdT per poi
passare, tredicenne, ai moskito dell’HCAP.
Ci sono perplessità e apprensioni per i play-out...
«Nella stagione in corso tuttoè andato storto: infortuni, incostanza,
sfortuna, di cui ne risentiamo attualmente». L’Ambrì non segna e non sa
più sfruttare il powerplay... «Ci manca l’organizzazione del gioco
quando siamo in superiorità numerica, non sappiamo far girare il disco,
ci lasciamo prendere dal nervosismo, non abbiamo né velocità, né
furberia, né malizia».
Ma il Rapperswil è più forte dell’Ambrì? «No, per
niente. Abbiamo più o meno la stessa forza. Ora sono soltanto gli
episodi di gioco e gli errori individuali a fare la differenza. A
prescindere dai risultati ottenuti finora siamo convinti che riusciremo
ad uscire dal tunnel e mantenere il nostro posto al sole anche
nell’immediato futuro»
Dunque ce la farete...«Non ne dubitiamo. Giocatori,
allenatore, dirigenti ne sono convinti. Ci mancherebbe non fosse così.
Dopo Natale abbiamo ritrovato la strada maestra poi è subentrata la
stanchezza fisica e mentale. Ci riprenderemo, abbiamo fiducia».
Rotislav Cada...«È molto bravo. Con lui ho
acquisito più fiducia nei miei mezzi, più spazio e maggior
responsabilità. Sa trasmettere emozioni, definire le basi del gioco,
infondere grinta, determinazione e motivare il gruppo. Lo spogliatoio è
con lui, è importante!».
Lugano, Ginevra Servette e Friborgo-Gottéron le hanno fatto la corte. Perché Davos?
«Si sapeva che ero a fine contratto e diverse squadre hanno contattato
il mio manager Daniel Giger, che ho conosciuto ai mondiali U18 in
Finlandia. Assieme abbiamo scelto Davos». Per i soldi o per ambizione?
«Per fare un’esperienza di vita, per la mia carriera e per imparare
bene un’altra lingua. Non certo per motivi finanziari, importanti a
vent’anni ma non determinanti » . Gli obiettivi? « Avantutto la
salvezza dell’Ambrì. Far bene a Davos. Crescere come uomo. Seguire
studi superiori di economia o di marketing».
Hobby... «Fare sport, ascoltare buona musica e lettura di gialli»
La Nazionale è il sogno sportivo nascosto nel cassetto? «Troppo presto per pensarci».
L’idolo hockeystico? «Sin da ragazzino Olek Petrov e oltre oceano Alexander Orechkin dei Washington Capitals» .
Il calcio? «Fino a 12 anni ho praticato calcio (nel Monte Carasso) e hockey»
La squadra? «L’Inter con un debole per i giocatori brasiliani».
La nuova Valascia? «Sul nuovo ghiaccio voglio
giocarci. Per intanto con la maglia del Davos in trasferta ma un giorno
ancora con quella biancoblù...».
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